Uno Sguardo alla Mondialità Maggio 2015

Il lavoro in Europa: divari e trasformazioni
di Michele Tempera

L’Unione Europea non è ancora riuscita a trovare la propria unità politica dopo avere affermato, almeno sulla carta quella economico-commerciale. Questo limite si ripercuote su tutti i settori dei quali l’Ue si dovrebbe interessare, impedendo di dispiegare le enormi potenzialità delle quali disporrebbe: dalla politica estera all’immigrazione, dall’unione fiscale a quella amministrativa.

Uno degli ambiti che risente maggiormente in termini negativi di questa situazione frammentaria a livello comunitario, è quello delle politiche lavorative ed occupazionali. Esse coinvolgono aspetti molto ampi, trasversali e diversificati, ma necessitano linee guida che non sono affatto condivise tra i vari stati europei. Le diversità esistenti in questo campo, oltre ai singoli contesti nazionali con le loro peculiarità sociali, comportano che gli stati europei vivano condizioni estremamente eterogenee in merito all’occupazione ed al lavoro, sia in termini quantitativi che qualitativi.

In particolare, esiste un divario sostanziale tra Europa meridionale ed orientale da un lato ed Europa settentrionale dall’ altro lato. Tale divario sta orientando, già da alcuni anni, in due direzioni diverse e divergenti queste due macro-aree geografiche comunitarie. Per la prima si delinea un mercato del lavoro con una quota significativa di persone in età lavorativa (sembra si stia assestando intorno al 25% della popolazione totale ed al 40% dei cittadini in età lavorativa) che sono disoccupate, inoccupate, sotto-occupate o povere nonostante lavorino continuativamente. Nella seconda area geografica citata, il nord Europa, la condizione generale rispetto al lavoro, è, al contrario, molto simile a quella del decennio precedente, vale a dire disoccupazione bassa, riqualificazione rapida di chi perde il lavoro e redditi generalmente soddisfacenti, anche se in parte peggiorata in termini di precarietà e reddito a causa di fattori legati alla globalizzazione economico-finanziaria.

A distinguere queste aree dell’Ue sono una molteplicità di fattori, i quali sono però spesso erroneamente intesi come attinenti al costo del lavoro o alla regolamentazione delle attività economico-produttive. Questo malinteso, organico alle politiche economico-finanziarie liberiste alle quali l’Unione si è da tempo piegata, produce provvedimenti che guardano ad un orizzonte di breve periodo, ampliano le diseguaglianze economico-sociali, incrementano la povertà e restringono i diritti sociali e del lavoro della maggioranza dei cittadini.

Fattori che stanno a monte delle singole politiche economiche nazionali, pur essendo colpevolmente trascurati, costituiscono e varie ragioni delle difficoltà lavorative e occupazionali che contraddistinguono l’Europa meridionale (Italia compresa). Essi impediscono di adattare la struttura economica di questi stati a due elementi strutturali e di capitale importanza: in primo luogo le risorse di ognuno dei paesi in questione ed in secondo luogo i cambiamenti in atto nell’economia internazionale.

Come è sempre accaduto in ogni epoca della storia umana, avvengono anche oggi grandi trasformazioni nelle caratteristiche dell’economia e della produzione mondiale, le quali un tempo riguardavano l’occidente e solamente di riflesso il resto del pianeta. Oggi questi mutamenti accadono simultaneamente ovunque nel mondo e sono molto più complessi di un tempo. Nuovi settori emergono a seguito del manifestarsi di nuovi bisogni umani ed altri comparti dell’economia vengono spostati in aree del pianeta dove non erano presenti. L’Europa meridionale, a causa del suo retaggio culturale antiquato, della diffusa corruzione e del clientelismo come stile di vita, non sembra in grado di cogliere le grandi opportunità dei cambiamenti in atto e finisce per replicare ricette sorpassate in un contesto che richiede tutt’altro approccio. In particolare è il capitale umano a non essere assolutamente all’altezza della sfida posta a tutti dalla modernità mentre la persona ha perso la propria centralità nei processi di sviluppo e produzione.

Per citare un esempio significativo, è noto a tutti gli stati avanzati economicamente che l’istruzione è la chiave di volta di qualsiasi successo nel lavoro per qualsiasi comunità di persone che condividono lo stesso destino. Se essa non diventa conoscenza diffusa capace di compenetrare la maggioranza della società, rimanendo al livello di nozioni finalizzate all’ottenimento di un titolo, nell’ambito dell’economia odierna il declino è inevitabile ed imminente. La popolazione, mediamente ignorante, disinteressata alla cultura e amante della furbizia che danneggia il prossimo, la quale abita l’Europa meridionale, non è in grado di comprendere e affrontare ciò che sta accadendo a livello economico. Così, mentre una minoranza di cittadini trovano lavoro e passano per più professioni traendone il meglio in termini di soddisfazione e reddito, la gran parte dei cittadini (soprattutto tra i giovani) brancolano nel buio dei loro limiti umani.

Il lavoro è forse più diffuso e presente oggi che in passato, e l’enorme risparmio privato dei cittadini (ad esempio italiani) conferma le ampie opportunità disponibili nel lavoro oggi. Il problema è saperle coglierle, questione nella quale le competenze tecniche servono in maniera solamente parziale e marginale. Ad essere imprescindibili sono, al contrario, la capacità di analisi e di risolvere problemi complessi con soluzioni innovative, servono creatività e tenacia. Tutte qualità che non sono insegnate nelle nostre scuole e che vengono severamente scoraggiate nelle arretrate ed arcaiche organizzazioni aziendali mediterranee, le quali, per altro, stanno affondando come i paesi sud europei nei quali sono ancora marginalmente presenti.

I nostri padri costituenti sono stati abbastanza lungimiranti da fondare la nostra Repubblica sul lavoro, ma i loro eredi, nella politica, come nella società in generale, non sono riusciti a mantenere questa traiettoria, lasciando spazio agli egoismi personali ed alla miopia politico-economica. “Con la cultura non si mangia”, evitare la formazione umanistica perchè non dà opportunità di lavoro, privilegiare l’ignoranza in cambio di pochi denari nell’immediato, favorire l’obbedienza al posto delle capacità ed altri luoghi comuni, hanno preparato il dramma attuale: un’area geografica (l’Europa meridionale) strutturalmente incapace di cogliere il senso e le opportunità di un mondo che cambia. In questo modo essa si è condannata ad essere lasciata inesorabilmente indietro dal resto dei paesi economicamente sviluppati.