Il Punto sull'economia
L'editoriale di Sauro Bandi
E' stato presentato a Expo Milano il 17 ottobre, Giornata internazionale contro la povertà, il Rapporto Caritas 2015 sulla povertà e l'esclusione sociale, dal titolo "Povertà plurali". La presentazione è avvenuta presso il Conference Centre Expo Milano all'interno del Convegno "Diritto al cibo. Interventi di prossimità e azioni di advocacy", incentrato sul tema della povertà alimentare a Milano, in Italia e in Europa. Riportiamo qui l'interessante introduzione al Rapporto, una riflessione che conduce a ripensare il contrasto alla povertà come una sfida. "Quella di passare da un approccio di assistenza materiale, ad un modello di intervento caratterizzato da innovazione, capace di promuovere crescita, sviluppo e benessere umano e sociale."
INTRODUZIONE POVERTà PLURALI NELL'ORIZZONTE DELLA RIPRESA ECONOMICA
La definizione del dizionario non rende giustizia al concetto di
povertà, che appare ai nostri occhi molto più diversificato e complesso di
quanto appaia a prima vista. La povertà ha molte facce, è un puzzle complesso
e poliedrico, composto da molti “ tasselli”, ai quali il rapporto Caritas tenta
di fornire corpo e anima, dando voce a dati e testimonianze, storie ed
esperienze di vita che segnano la storia quotidiana dei nostri territori, delle
persone e delle famiglie protagoniste del fenomeno, da una parte e dall’altra
della barricata.
E infatti, nell’anno di Expo 2015, Caritas Italiana pur dedicando
un'attenzione specifica al tema della povertà alimentare, ritorna sul tema
della povertà economica e dell’esclusione sociale con uno sguardo attento e
allargato all'aspetto plurale del fenomeno.
È importante sottolineare, da parte nostra, che il Rapporto non si
concentra unicamente sul fenomeno della povertà alimentare. Anche se è
innegabile che la difficoltà a reperire cibo adeguato, per qualità e quantità,
rappresenti un grande problema per numerosi cittadini, italiani e stranieri, a
nostro avviso tale problematica fa parte di un più vasto e complesso universo
di disagio economico che interessa il nostro paese, e che non può essere del
tutto riconducibile alla carenza tout court di alimenti. Ci confortano
a tale riguardo i dati storici provenienti dai centri di ascolto Caritas,
secondo i quali nel corso degli ultimi due-tre anni, non si registra un
particolare aumento delle richieste di alimenti, quanto soprattutto di aiuti
economici: in soli tre anni, dal 2013 al 2015 diminuisce la percentuale di
persone che ha espresso, in diverse modalità, una richiesta di aiuto
alimentare (dal 59,9% del 2013 al 53% degli utenti), mentre nello stesso
periodo la richiesta di sussidi economici è notevolmente aumentata, passando
dal 23,3% al 29,7%.
La richiesta di alimenti registrata dai dati Caritas non esprime
quindi un bisogno solamente alimentare, ma soprattutto economico. Così come si
ha necessità di risorse economiche per sostenere l’acquisto di alimenti, allo
stesso modo si ha necessità di denaro per fronteggiare altre voci di spesa
spesso rimandate nel tempo (l’acquisto di altri beni primari, di farmaci, il
pagamento delle bollette, degli affitti, ecc.).
Il Rapporto sulla povertà, nella sua edizione del 2015, si colloca
inoltre all’interno di una particolare congiuntura, che secondo alcuni
indicatori vedrebbe una progressiva uscita dell’Italia dalla situazione di
crisi economica che per lungo tempo l’ha colpita. In effetti,
numerosi esperti, italiani e stranieri, evidenziano positivi indicatori di
crescita, secondo i quali la fase di recessione economica del nostro, e di
altri Paesi europei, sarebbe ormai alle nostre spalle.
Senza entrare nel merito delle
questioni di taglio statistico e macroeconomico, ciò che ci preme sottolineare
è che la povertà ha rappresentato per il nostro Paese una presenza costante,
storica, non collegata unicamente alla crisi dei mercati finanziari, deflagrata
all’alba del terzo millennio. In un certo senso, la situazione italiana
rafforza la massima evangelica, secondo cui “i poveri li avrete sempre con
voi”, e ci ricorda che una società perfettamente libera dalla povertà è pura
utopia. Non esiste e non esisterà mai. Le statistiche ufficiali ci dimostrano
infatti come anche nei sistemi sociali più avanzati, caratterizzati da elevati
livelli del benessere, non sono del tutto assenti fenomeni e situazioni di
povertà. Tra l’altro, in tempi recenti, tali situazioni appaiono in deciso aumento,
anche a causa degli effetti della crisi economica, che per lungo tempo ha
colpito il continente europeo. Ad esempio, i dati forniti da Eurostat e
relativi al “rischio di povertà o esclusione sociale”, riferiti al periodo
2008-2014 (prima e dopo la crisi), ci informano che anche nei paesi più ricchi
si riscontra la presenza di una quota di cittadini che vive sotto la soglia di
povertà (con picchi di quasi il 20% della popolazione in Austria e Danimarca).
Ci sarebbe da interrogarsi su che
tipo di situazione sociale e culturale si lascia alle spalle l’Italia, nella
fase successiva al picco più alto della crisi economica. Dopo l’onda alta di
marea, che tipo di detriti abbiamo di fronte sulla spiaggia? Se è vero che allo
scoppio della crisi economica molti autori vicini al mondo della Chiesa
segnalavano l’urgenza di cogliere da tale situazione di difficoltà
l’opportunità positiva di rivedere determinati modelli culturali di
comportamento, allo stato attuale, nella presente contingenza storica, che tipo
di lezioni sono state apprese?
Dal punto di vista Caritas, è innegabile
riscontrare l’aumento complessivo di attenzione alla povertà, alle situazioni
di disagio delle persone e delle famiglie. È altrettanto innegabile la
riscoperta di antiche forme di solidarietà e prossimità, come i gemellaggi, gli
affiancamenti, le adozioni a distanza, non solo di persone ma di famiglie, di
intere comunità locali. Anche sul piano dei comportamenti individuali, ad
esempio sul piano dei consumi, pur tra mille contraddizioni, si colgono
elementi positivi, che vedono nella riscoperta del valore dell’essenzialità un
aspetto centrale, di grande importanza.
L’impressione che si ricava dalla
lettura della sezione del Rapporto relativa alle forme di assistenza,
animazione e presa in carico messe in atto dalla Caritas, è che la Chiesa
continua a svolgere in modo sempre più diversificato e creativo una funzione di
protezione sociale che in qualche modo si è andata dileguando, soprattutto (ma
non solamente) a livello istituzionale. A tale riguardo, i dati e le storie di
solidarietà presenti nel volume sono piuttosto esemplificative della debolezza
dell’intervento pubblico, e della capacità risolutiva che può invece assumere
un intervento strutturato e organizzato da soggetti diversi, in grado di
fornire “al momento giusto” informazioni, aiuti concreti, segnali di speranza.
Sul piano dell’aiuto concreto,
colpisce la dimensione numerica dell’intervento Caritas, in gran parte basato
sull’apporto del volontariato locale, che non ha mai mancato di garantire un
valido supporto, anche nel pieno della recessione economica e della perdita di
occupazione. A tale riguardo, dobbiamo sottolineare con una certa soddisfazione
come non abbiano trovato conferma le fosche previsioni di coloro che avevano
profetizzato la crisi del volontariato sociale, compromesso dalla debolezza
del tessuto socio-culturale del nostro Paese.
E invece, dobbiamo dire che l’egoismo
dell’istinto di sopravvivenza è stato superato, e l’aiuto non è mai mancato. Si
pensi che, soffermandosi unicamente sull’aiuto alimentare, nel corso del 2014
le mense Caritas hanno distribuito oltre 6 milioni di pasti, a quasi
duecentomila persone in difficoltà. Per dare l’idea della portata di tale
aiuto, si potrebbe immaginare che gli abitanti di un’intera città di provincia
di medie dimensioni siano dovuti ricorrere alla Caritas per poter ricevere un
piatto caldo.
Sempre sul versante delle risposte, non può essere taciuto
il momento di forte confusione che invece caratterizza il sistema pubblico di
risposta alla povertà.
Nel
pieno delle sperimentazioni che si susseguono a ritmo incessante, senza chiare
prospettive di stabilizzazione, è innegabile il forte decremento di tutela
sociale da parte delle amministrazioni locali, anche a causa dei tagli alla
spesa pubblica imposti dalla spending review europea, che ha toccato diversi
aspetti della vita delle famiglie.
Data
l’evidente carenza di tutela e la situazione di sottoprotezione assistenziale
della famiglia in Italia, non desta certamente stupore che un numero crescente
di persone si rivolga alla Caritas, alle parrocchie, ai centri di ascolto per
chiedere un supporto o un aiuto economico. Come dimostrano i dati, il processo
di “normalizzazione sociale” della povertà dell’ultimo decennio ha determinato
il crescente coinvolgimento degli italiani e delle tipologie familiari più
deboli (come i padri e le madri sole), in situazioni di disagio economico. Tale
processo di graduale impoverimento ha imposto alle famiglie la necessità di
rintracciare fonti supplementari di aiuto e sostegno: una volta esaurite le
principali forme di aiuto disponibili all’interno della rete familiare e
amicale, si è stati costretti a rivolgersi anche a soggetti esterni a tale
ambito, afferenti al sistema formale di welfare, pubblico e privato, tra cui
anche la Caritas.
La
prospettiva di un intervento pubblico, di taglio universalistico, strutturato e
permanente di contrasto alla povertà non appare ancora all’orizzonte dei
nostri giorni: mentre gli altri Paesi europei si sono tutti attrezzati nel
corso degli anni con misure specifiche di contrasto alla povertà, l’Italia
continua ad appoggiarsi ad una miriade di interventi tampone, dispendiosi e
poco efficaci. La sperimentazione di una misura unica di contrasto (la nuova
carta acquisti), stenta a decollare e trova il suo contraltare in almeno
quattro o cinque diverse proposte di redditi minimi, di inserimento, di
cittadinanza... Interventi e proposte basate su logiche diverse e aventi come
potenziali destinatari soggetti appartenenti a categorie sociali tutte differenti
tra di loro.
E
questo nonostante le pressioni dell’Alleanza contro la povertà, di cui fa parte
anche Caritas Italiana, e le tante esperienze internazionali che ci dicono che
ridurre (se non cancellare) la povertà è possibile. Lo dimostrano con una certa
evidenza i dati provenienti dal contesto europeo, secondo cui dal 2008 al
2012, mentre in Italia la povertà è cresciuta del 12,3% (dal 25,3 al 28,4%
delle persone residenti), in altri paesi si registravano tendenze opposte:
riduzioni del fenomeno sono segnalabili presso varie realtà nazionali, tra cui
Austria, Francia, Svizzera, Finlandia, Repubblica Ceca e Norvegia). Nello
specifico, in Svizzera, dal 2008 al 2012 la povertà è diminuita del 9,9% e così anche in Austria (-8,7%).
Dal
punto di vista del legislatore e dell’operatore sociale, ciò significa che è
possibile intervenire sulla povertà e ridurne l’impatto, a patto di adottare
metodi adeguati e innovativi, in grado di passare da un approccio
assistenzialistico ad un approccio in cui le varie dimensioni costitutive del
welfare siano intrecciate e dialoghino tra di loro (politiche di welfare, del
lavoro, per la famiglia, ecc.).
La prospettiva da
adottare è quella di una rivoluzione copernicana nell’approccio di intervento,
che vede accanto alla presenza di una forte regia pubblica, l’apporto valorizzato
dei diversi attori del territorio, ciascuno portatore di specifiche esperienze
e di una particolare capacità contributiva, secondo il proprio unicum. La sfida è quella di passare da un approccio
solamente riparativo e di assistenza materiale, ad un modello di intervento
caratterizzato da innovazione, capace di promuovere crescita, sviluppo e benessere
umano e sociale.