Gente di periferia

Martedì 22 settembre, presso il Seminario di Imola (Via Montericco 5a), dalle ore 9,30 alle 16,30  si è tenuto il Convegno regionale di studio nel 50° della morte di Madeleine Delbrel: “Il contrasto alla povertà in Emilia Romagna. Le azioni della chiesa e della regione” Durante il convegno  è stato presentato a cura di della Delegazione Regionale Caritas Emilia Romagna, il Quinto dossier povertà dell’Emilia Romagna. “Gente di periferia” Il punto di vista delle Caritas diocesane. Un importante strumento per conoscere la povertà sul nostro territorio.
Di seguito un riassunto del rapporto, in allegato il pdf dell'intero rapporto e la sua copertina.

GENTE DI PERIFERIA

Nella maggior parte dei Centri di Ascolto diocesani dell Regione, è diminuito il numero delle persone incontrate, le motivazioni principali sono sostanzialmente due:

- diversi cittadini stranieri hanno fatto rientro in patria o si sono spostati in altre Nazioni

- in molte diocesi è diventata più capillare la presenza delle Caritas parrocchiali, per cui le persone che prima facevano riferimento ai Centri di Ascolto diocesani, ora si rivolgono alla propria parrocchia di appartenenza.


Rispetto le annualità considerate, il numero delle persone incontrate nonostante le variazioni che si possono osservare a livello di ogni singola diocesi, dovuto in alcuni casi alla messa a regime del sistema di registrazione e rilevazione dei dati, va generalmente assestandosi, se non in flessione. Questo per alcuni motivi: in primo luogo riprendendo ciò che afferma Caritas Italiana secondo cui “La complessità delle situazioni incontrate contribuisce in alcuni casi alla diminuzione del flusso di utenza complessivo: di fronte a storie personali e familiari complesse, multiproblematiche e tendenti alla stagnazione, è sovente necessario ripetere più ascolti, predisporre un progetto d’intervento step by step, verificare tappe e obiettivi via via conseguiti, attivare soggetti e risorse del territorio, ecc. Tutto ciò obbliga un grande sforzo organizzativo e tempi più lunghi di ascolto che determinano una inevitabile riduzione del volume di utenza presa in carico.”

È interessante ragionare sulle persone che si sono rivolte per la prima volta ai Centri di Ascolto, si tratta prevalentemente di persone che hanno perso il lavoro, è da evidenziare il numero abbastanza elevato di italiani spesso con situazioni di rotture familiari alle spalle che oltre ad aver perso la fonte di reddito principale si trovano a dover sostenere le spese per il mantenimento di figli e moglie, paradigmatico è l’aumento delle persone pensionate che, storicamente, non accedevano ai nostri servizi perché, appunto, titolari di un reddito da pensione che oggi però risulta assolutamente insufficiente a far fronte alle spese.

 Ritorna la povertà al maschile

Considerando il sesso delle persone che si rivolgono al CdA osserviamo il grafico che evidenzia come nei 6 anni considerati si sia assistito ad una progressiva femminilizzazione dell’utenza fino al 2012, quando le percentuali fra i sessi erano molto simili, per riprendere le distanze negli ultimi due anni. Dopo un primo momento di forte migrazione maschile (anni '80 e '90) abbiamo assistito al fenomeno dei ricongiungimenti familiari e, conseguentemente, l’affacciarsi al Centro di Ascolto delle femmine che, culturalmente, sono coloro che si fanno referenti per il nucleo familiare; solitamente è la donna che si fa portatrice del disagio vissuto in famiglia, si fa carico delle gravi problematiche che sorgono all’interno del contesto familiare e si espone nel cercare aiuti. Possiamo infatti osservare che da un lato la componente femminile (da sempre associata alla provenienza dei paesi dell’est Europa) già da alcuni anni sta scemando, sotto l’effetto di una crisi che fa si che chi non ha un lavoro accudisca direttamente i propri familiari anziani senza ricorrere all’impiego di badanti, dall’altro il fatto che in presenza di una situazione economica sfavorevole diverse famiglie hanno optato per la scelta di dividere il nucleo, rimpatriando le mogli ed i figli, lasciando il capo famiglia da solo in Italia con lo scopo della ricerca di un lavoro.

2014

%

Uomini

54,9

Donne

45,1

 

Sempre più di passaggio


Nonostante i nostri CdA siano a prevalente vocazione straniera è indubbio (come anche evidenziato dal grafico ) un crescente numero di cittadini italiani che si affaccia ai nostri servizi; circa le differenze fra gli utenti italiani e quelli stranieri dei nostri servizi rileviamo come la Caritas rappresenti per gli stranieri un aiuto per riscattare la propria condizione ed arrivare all’autonomia, mentre per gli italiani prevale ancora un accesso ai nostri servizi come “ultima spiaggia” per salvare una situazione ormai alla deriva.

Ragionando sugli stranieri osserviamo almeno tre fenomeni: una diminuzione numerica degli stranieri che si rivolgono ai CdA per effetto dei ritorni in patria sia delle donne che delle persone straniere in genere. La crisi economica ha sortito come effetto anche quello di ripensare ai progetti migratori: abbiamo infatti aiutato diversi single e diverse famiglie a far ritorno nel sud Italia o nel proprio Paese d’origine. Molte le persone che abbiamo aiutato ad emigrare avendo trovato possibilità lavorative nel resto d’Europa.

Inoltre nella crisi gli stranieri sono molto reattivi, facili alla mobilità all’interno del nostro paese. Si è pensato che fosse naturale un processo di rimpatrio, ma in realtà non è così scontato per motivi di orgoglio personale o perché la situazione nel paese natio spesso è più drammatica.

Tutti i Centri di Ascolto rilevano il numero esiguo di persone senza regolare permesso di soggiorno sia a seguito delle numerose sanatorie che alle novità legislative intervenute negli anni, dato assolutamente in linea con quello che è l’andamento sul suolo italiano: da anni è in continuo calo la presenza di “irregolari”, che nel 2013 sono stati il 17,95% del totale.

2014

%

Italiani

31,8

Stranieri

68,2

 

Potenzialmente attivi

La fascia di età maggiormente rappresentata nei nostri CdA è quella che va dai 35 ai 54 anni, infatti un utente su due è in questa fascia di età; è la fascia dei potenzialmente attivi ossia coloro che dovrebbero aver raggiunto una certa tranquillità sia dal punto di vista familiare che lavorativo, ma che invece sembrano essere i più fragili “i giovani adulti lavorano sulla base di contratti a tempo determinato, collaborazioni occasionali, lavori stagionali e cambiano continuamente settore di lavoro e tipo di mansione. Tale indeterminatezza si riflette sull’incapacità a progettare il proprio futuro. La fascia di età più esposta al rischio di povertà è quella dai 35 ai 55 anni, ossia l’età produttiva e riproduttiva in cui la mancanza di lavoro e il carico familiare incidono molto.

Il grafico mostra come negli anni considerati stia percentualmente aumentando il contingente degli ultra 55enni e si stia assestando la percentuale dei giovani, ma non quella dei giovanissimi che insieme agli anziani (oltre 65 anni) sono numericamente in aumento.

I giovani presentano difficoltà relazionali con i genitori o faticano nel trovare un’occupazione; alcuni hanno trascorsi di dipendenze e non riescono a venirne fuori; diversi vivono in situazione di abbandono e solitudine che, spesso, li porta a unirsi con partner sbagliati senza alcuna possibilità di costruirsi un futuro.

I giovani oggi senza lavoro saranno anziani poveri di domani ed è per questo che le Caritas stanno investendo in questa direzione infatti le situazioni più delicate sono quelle rappresentate dai giovani in cerca di occupazione. Il 2015 vedrà alcune Caritas coinvolte in un impegnativo progetto di orientamento al lavoro nel quale alcuni giovani affiancheranno altri giovani in cerca di lavoro, provando a vincere la delusione e una certa apatia che spesso accompagnano i giovani.

2014

%

Fino 34 anni

26.6

35-54 anni

51.0

55-65 anni

14.7

Oltre 65 anni

7.7

 

I soli di ritorno

La povertà è evidentemente un fenomeno che colpisce le famiglie e i singoli ma che mette a dura prova le relazioni infatti ciò che emerge dai dati è una forte frammentazione relazionale nelle persone incontrate, soprattutto in ambito famigliare. Individui che vivono sempre più soli, persone che hanno vissuto esperienze di separazione o divorzio, coniugi e partner che solo una volta su tre vivono sotto lo stesso tetto o padri e madri che solo una volta su cinque vivono con i propri figli. Difficile dire se sia la povertà materiale a causare questa frammentazione, o se invece proprio perché persone sole, sia più facile che sperimentino la povertà; forse la cosa più probabile è che questi due aspetti interagiscono fra loro, generando una spirale che spinge sempre più verso il basso chi ne è interessato. Da una osservazione qualitativa della condizione delle famiglie si conferma un quadro caratterizzato da fragilità economica, lavorativa ed abitativa cui spesso si accompagnano problematiche legate all’instabilità dei rapporti coniugali, alla difficoltà di interpretare il ruolo genitoriale, alla forte rarefazione della rete di relazioni.

Le situazioni di vulnerabilità si presentano con più frequenza nelle famiglie monogenitoriali, nelle famiglie monoreddito e/o con ammortizzatori sociali al termine, nelle famiglie con forte instabilità lavorativa, nelle famiglie numerose e nelle famiglie con situazioni di malattia o disabilità, ed è anche evidente che la presenza nel nucleo famigliare di un numero elevato di figli minori aumenta il rischio di vedere aggravare la propria condizione.

Risultano soluzioni difficili anche le convivenze “forzate” intendendo ricomprendere sia la convivenza di più nuclei famigliari per tentare di abbattere i costi dell’abitazione, pratica sovente utilizzata dalle famiglie straniere, ma anche i ritorni in famiglia di giovani coppie che non riescono a sostenere i costi dell’autonomia. Condividere le spese, attraverso il meccanismo della coabitazione fra fratelli o con genitori anziani (a volte, gli unici titolari di un reddito certo per l’intero nucleo, con la percezione della pensione di vecchiaia), risolverebbe diverse situazioni di difficoltà incontrate, ma tali soluzioni appaiono “inaffrontabili” a causa, appunto, dell’alta conflittualità famigliare.

2014

%

Solo

36,2

Con altri

63,8

 

Senza lavoro


Un dato molto preoccupante oltre alla mancanza di lavoro è per i giovani anche la perdita della speranza.  La fragilità occupazionale è molto evidente e dalla battuta d’arresto lavorativa di tante persone sono derivati, oltre ai problemi economici, problemi psicologici relazionali, vissuti sia a livello personale che familiare. Le situazioni per noi più delicate sono quelle rappresentate dai giovani: ed è per questo motivo che nel 2013 abbiamo investito in Corsi di formazione ad hoc nei settori che potenzialmente possono ancora attrarre personale. Nel 2014 invece siamo stati coinvolti in percorsi di orientamento di cui avvertiamo l’urgenza poiché i giovani, soprattutto di bassa scolarità, sono sempre più disillusi e anche disperati. L’assenza di lavoro e denaro trascina via con sé la dignità della persona. Nella perdita del lavoro o nella incapacità di trovarlo si insinuano anche altre azioni, quali lo screditamento della dignità dell’uomo e della sua libertà.

2014

%

Occupato

12,3

Disoccupato

72,9

Casalinga

3,5

Inabile

1,8

 

Pane ed indebitamento


I bisogni delle persone si manifestano con sempre maggiori pretese e con una buona dose di rabbia la povertà rimane un fenomeno multidimensionale. Nei momenti di ascolto avvertiamo come, in parallelo ai bisogni economici, nelle famiglie sia entrata la depressione, lo sconforto, l’esasperazione e la protesta.

Alla poca disponibilità monetaria qualche volta si somma anche una cattiva gestione del poco denaro presente. Spesso tale aspetto è riscontrato anche in coloro che si sono trovati in questa nuova situazione di disagio economico e che faticano ad adeguarsi mantenendo uno stile di vita troppo elevato rispetto alla nuova realtà e ricorrendo quindi all’indebitamento prima di ricalibrare le spese che erano abituati a sostenere. Uno degli elementi comuni a quasi tutti i CdA è il crescente indebitamento della famiglie, con la riduzione drastica del reddito dovuto al licenziamento e ad una disoccupazione di lungo corso, le famiglie si sono comportate in modo molto differente: o si sono ulteriormente indebitate ricorrendo a nuovi prestiti per fare fronte a quelli precedenti, oppure hanno scelto la via della sobrietà riducendo le uscite mensili

 Sottolineiamo l’aspetto multiproblematico espresso dalle persone incontrate “l’utenza Caritas degli ultimi anni è sempre più multiproblematica e con una maggiore difficoltà ad affrancarsi dalle situazioni di bisogno rilevate al momento della presa in carico, cui vanno ad aggiungersi altre tipologie di bisogno durante il periodo, sempre più prolungato, di accompagnamento da parte dei nostri CdA.

Orientamenti

In quanto organismi pastorali della Chiesa emiliano romagnola, le Caritas diocesane ritengono di essere esperte in umanità, nel senso che conoscono per esperienza diretta lumano, tramite lascolto, laccoglienza, la condivisione, laccompagnamento delle persone, soprattutto di quella gente di periferia nella quale splendono con maggiore intensità i germi e il reclamo di una nuova umanità e quindi pensano di avere un contributo qualificato da portare. È una competenza che ci deriva certo anche dalla fede in Gesù Cristo, il vero uomo nuovo, e che condividiamo con molti altri soggetti pastorali, associazioni e gruppi caritativi, anche di altre fedi, e sta alla base del dialogo, del confronto e della collaborazione con le istituzioni civili che si occupano di welfare e politiche sociali. Questa rete di collaborazioni, di alleanze inedite, di sperimentazioni sul territorio, di riflessioni e approfondimenti comuni rappresenta un vero laboratorio per la nascita di una nuova società in cui ogni persona sia soggetto pieno di diritti e doveri e per un vero bene comune.

Tutto questo richiede un grande impegno educativo e coraggio “profetico” per assumere il compito della difesa dei diritti dei poveri, a fronte di un dilagante “cattivismo” sociale.

Non a caso abbiamo voluto mettere laccento, in questo report, sul tema delle disuguaglianze e di quella che Papa Francesco chiama inequità; un termine, come ha osservato tra i primi p. Salvini di Civiltà Cattolica dal sapore socioeconomico mentre la parola iniquità ha più una valenza morale, per rimarcare il fatto che la nostra fede ha un contenuto ineludibilmente sociale e che il compito dellevangelizzazione implica ed esige una promozione integrale di ogni essere umano. Riflettere sul nuovo umanesimo a partire dal tema della inequità significa prima di tutto chiederci: qual è il compito e il ruolo della Caritas in una terra come lEmilia Romagna, luogo di benessere e ricchezza, locomotiva dellItalia insieme alla Lombardia e al Veneto, ma dove non mancano sacche di povertà, di esclusione, di grave emarginazione e d'impoverimento preoccupante? Non significa forse fissare con maggiore intensità lo sguardo su Gesù e mettersi con più convinzione e coerenza dalla parte dei poveri e ribadire con coraggio, con la testimonianza delle opere e proposte intelligenti che la povertà si può vincere con la condivisione, la prossimità, laccoglienza e con la volontà politica che ne deriva? E non sono questi i presupposti per la crescita di quell'umanesimo relazionale e solidale che può contrastare la globalizzazione dell'indifferenza e inaugurare un nuovo Rinascimento mondiale?