
IL RISCALDAMENTO GLOBALE: quale etica sociale e ambientale?
di Michele Tempera
Il convegno sul
riscaldamento del nostro pianeta a causa dell’intervento umano, che qualche
settimana fa si è tenuto a Parigi, rappresenta l’ultima, inconcludente tappa di
una analoga serie di vertici politici.
La sola sommatoria delle emissioni nocive e dei costi monetari sostenuti dagli stati partecipanti e dalle Nazioni Unite per organizzare i numerosi incontri organizzati negli ultimi quindici anni risulta significativamente enorme. Parallelamente, le decisioni che si sono prese in questi vertici, in passato come nell’ultima occasione a Parigi, risultano non solo del tutto inadeguate alle sfide climatiche odierne, ma anche irrealizzabili nella pratica.
Questa grave situazione di sostanziale immobilismo politico di fronte a prospettive tragiche per l’umanità già nel medio periodo, è causata, andando alla ragione prima del problema, dalla subordinazione della politica al modello di sviluppo liberista-finanziario internazionale ed ai poteri forti, anch’essi economico-finanziari, che esso produce e perpetua. Infatti, qualunque decisione seria in materia di clima ed ambiente dovrebbe modificare profondamente il modello di sviluppo odierno, come afferma spesso Papa Francesco. Ciò non avverrà fino a quando le decisioni, e i decisori ufficiali, saranno influenzati in maniera determinante da chi prospera entro quel sistema stesso.
Nessuna delle misure
che si è tentato di proporre ai numerosi vertici sull’aumento drammatico del
clima terrestre (compreso l’ultimo) è vincolante. Basterebbe questo per svelare
la farsa tenutasi a Parigi e, prima ancora, in diverse città del mondo. La
mancanza di volontà politica e di accordo su chi debba iniziare per primo
qualsiasi processo virtuoso per il clima mondiale, basteranno a scongiurare
qualsiasi miglioramento.
L’unico provvedimento davvero efficace che sarebbe possibile adottare è di natura finanziaria e consisterebbe nel tassare, a livello nazionale e/o sovranazionale ed in maniera proporzionale al danno inferto al pianeta, le attività che hanno un impatto nocivo sull’ambiente e sul clima terrestre, destinando i proventi all’abbassamento corrispondente della tassazione per coloro che adottano pratiche ad impatto zero o quasi. La conversione ecologica dell’economia deve avvenire in maniera guidata e vincolante, facendo cadere i principi del liberismo oramai già sconfessati dalla realtà stessa. Purtroppo questa soluzione non è praticabile, data la preminenza di coloro che inquinano maggiormente tra coloro che sono dotati di maggiore potere di influenza politico-economica.
La retorica della
mancanza di risorse per una progressiva conversione ecologica dell’economia è
fin troppo facile da smentire. Infatti, vengono investiti enormi quantitativi
di denaro nel mondo per aggiornare sistemi produttivi e gestionali al continuo
spostamento delle frontiere tecnologiche. Basti pensare alla sostituzione di
centinaia di milioni di computer nel mondo avvenuta non appena sono entrati in
commercio quelli a schermo piatto. Centinaia di miliardi di euro sono investiti
annualmente in questo ed altri casi, tuttavia, ben poco è investito al fine di
ridurre l’impatto ambientale dell’economia attuale. Una questione di volontà
personale e collettiva, quindi, la quale non sembra in grado di mutare senza
leggi vincolanti specifiche a livello degli stati come delle organizzazioni
internazionali.
La storia ambientale del nostro pianeta ci permette di collocare gli attuali e drammatici avvenimenti con una certezza solamente parziale. Malgrado ciò, è oramai sicuro che, anche nella fortunata ed assai improbabile ipotesi del mantenimento dell’aumento della temperatura media mondiale entro i due gradi, si verificheranno catastrofi mai viste a partire dalla comparsa dell’uomo sulla terra. Non si tratta di questioni che possano, come accade attualmente, fare da sfondo ai sordidi giochi politici di palazzo che animano lo scenario informativo italiano. Al contrario, stiamo parlando della continuazione, o meno, della vita sulla terra.
Come si inseriscono i
vertici sul clima, come quello di Parigi, in questo contesto di terribili
responsabilità che gravano sui presunti decisori politici, i quali
periodicamente si riuniscono per certificare un nulla di fatto con luoghi
comuni, ipocrite dichiarazioni di intenti e impegni elusivi nonché
esclusivamente verbali?
L’uomo, nonostante la pochezza dei propri rappresentanti istituzionali, detiene la possibilità di invertire la tendenza all’autodistruzione innescata dalla rivoluzione industriale in poi. A quell’epoca di svolta, l’essere umano si è dotato per la prima volta di mezzi tecnici tali da potere modificare radicalmente l’assetto naturale del creato, fino a sovvertirne i principi cardine e l’equilibrio millenario. In questo modo, potenziali avanzamenti tecnologici in senso positivo, si sono ben presto trasformati in strumenti potenti al servizio dell’irrazionalità insta nell’avidità verso i beni finiti di questo mondo. Da quell’epoca ha preso forma la teoria, prima inconscia poi addirittura esplicitata nell’ideologia liberista, della crescita quantitativa infinita. La stessa che oggi mette seriamente a repentaglio l’umanità. Anche in questo caso, l’unico provvedimento davvero efficace è ben lontano dall’essere adottato, neppure sotto forma di sperimentazione. Si tratta della crescita qualitativa circolare, la quale non aumenta in senso quantitativo il peso delle attività umane sulla natura (bensì le riduce progressivamente), e consente di mantenere un rapporto equilibrato tra creato e persone e, conseguentemente, tra creatore e persone.
Il nodo fondamentale da sciogliere è quindi quello dell’etica sociale ed ambientale che dovrebbe funzionare da punto di riferimento per le decisioni politiche sulle questioni economico-finanziarie. La natura sistemica e strutturale del problema ambientale e climatico descritto mette ancora più in luce la futilità del vertice di Parigi, concentratosi su dichiarazioni di intenti già smentite dai fatti e improbabili compensazioni economiche ai paesi più poveri, queste ultime comunque inutili e probabilmente nel loro complesso addirittura dannose rispetto agli obiettivi che ci si prefiggeva.