Sabato 9 ottobre, presso il teatro parrocchiale di Vecchiazzano, si è svolta l’assemblea della Caritas di Forlì-Bertinoro con la partecipazione del Vescovo e dei rappresentanti delle Caritas parrocchiali della Diocesi. Il tema che ha guidato l’assemblea e che guiderà anche tutto l’anno diocesano è “Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5). Come ogni anno, dopo la preghiera, mons.
Livio Corazza ha indicato alle Caritas parrocchiali alcune indicazioni pastorali per il nuovo anno diocesano: “Non si può essere cristiani senza testimoniare la carità, perché la comunità cristiana è il soggetto della carità, non solo ‘alcuni’ della comunità cristiana.
La Caritas nasce per aiutare tutti i cristiani a sentirsi nella Chiesa al servizio della carità, perché non deleghino a nessuno la loro testimonianza della carità, neanche alla Caritas stessa. Questo è decisivo, perché altrimenti rischiamo di sottrarre a tutti i cristiani l’impegnativo compito di essere responsabili nel testimoniare la carità”.
Infine il Vescovo ha indicato tre parole chiave: “grazie” per il servizio reso durante la pandemia dagli operatori e volontari; “coraggio” nell’affrontare le tante povertà materiali, relazionali e di senso della vita, e, infine, “coinvolgere”, cioè aprirsi alla testimonianza, animando con la carità e promuovendo nella relazione coloro che ci sono prossimi.
Al termine dell’intervento, il direttore della Caritas diocesana Filippo Monari, insieme alla Segreteria Caritas, ha guidato l’avvio dei gruppi di confronto. “La numerosa partecipazione a questa assemblea e l’ascolto reciproco - sottolinea Filippo Monari - testimoniano che la Caritas di Forlì Bertinoro desidera continuare a portare la presenza viva dell’essere cristiani oggi attraverso l’amore al prossimo.
Il cammino sinodale presentato dal nostro Vescovo sarà l’occasione, insieme alla formazione che inizieremo a novembre con il percorso di "Pedagogia Caritas". Il prossimo appuntamento in programma sarà domenica 14 novembre con la Giornata dei poveri: l’evento si svolgerà nelle parrocchie e in particolare nel duomo di Bertinoro, con la messa presieduta dal vescovo Livio. Nell’occasione si festeggerà anche il 40° anniversario della Casa della Carità di Bertinoro.
Inoltre, anche quest’anno, la Caritas diocesana riproporrà l’iniziativa delle scatole di Natale dopo il bel successo dell’anno passato”.
Di seguito l'intervento di S.E. mons Livio Corazza:
"Quest’anno festeggiamo i
cinquant’anni della Caritas Italiana.
È un anno di celebrazioni
importanti e per l’occasione sono andato a rileggermi il discorso di Paolo VI.
Fu lui a volere la Caritas, e nel suo discorso ne presentava lo statuto.
Ogni tanto bisognerebbe
rileggerlo, qualche volta lo statuto delle associazioni sembra un qualcosa di
freddo, invece, questo qui è una sintesi del Vangelo.
Papa Francesco recentemente
citava le parole di Paolo VI “siete parte viva della Chiesa, siete la nostra Caritas”.
Il papa che l’ha voluta e impostata incoraggiò la CEI a dotarsi di un organismo
pastorale per promuovere la testimonianza della carità nello spirito del Concilio
Vaticano II perché la comunità cristiana fosse soggetto di carità.
Noi tutti sappiamo che col
Concilio è nata la riforma liturgica, sempre col Concilio siamo passati dalla
dottrina al catechismo.
La terza riforma della chiesa
scaturita dal Concilio è la nascita della Caritas: italiana, diocesana,
parrocchiale. Ma qual è il compito della Caritas? Ve lo ricordo, perché qualche
volta rischiamo di dimenticarlo, presi come siamo dal fare.
Non esiste una tessera della Caritas,
nessuno di voi ha una tessera, alla Caritas si entra a far parte dal battesimo.
Quando dite “noi siamo quelli della Caritas”, uno potrebbe pensare che siano
presenti tutti i cristiani battezzati della diocesi di Forlì Bertinoro.
Membri della Caritas si nasce,
non si diventa e non si può essere cristiani senza testimoniare la carità,
perché l’intera comunità cristiana sia soggetto di carità, non solo alcuni.
La Caritas non è nata per far
nascere un’altra associazione, perché ce ne sono già tante, come per esempio la
stessa San Vincenzo all’interno della comunità cristiana, ma anche all’esterno
di essa ce ne sono tante.
La Caritas nasce per aiutare
tutti i cristiani a sentirsi Caritas, perché non deleghino a nessuno la
testimonianza della carità, neanche alla Caritas stessa, scusate il gioco di parole.
Questo è un punto importante,
anzi decisivo, perché altrimenti proprio perché corriamo tanto, facciamo tanto
e lo facciamo bene, rischiamo di sottrarre a tutti i cristiani il grave e
impegnativo compito di essere responsabili nel testimoniare la carità.
Non esiste la pensione dalla
Caritas, perché tutti siamo Caritas; mi ricordo che mi ha colpito quando ero
direttore della Caritas la telefonata di una signora che mi ha detto tutta
allarmata “vicino a casa mia ci sono due anziani che hanno la legna ma non sono
in grado di tagliarla per scaldarsi, voi della Caritas avete qualcuno da
mandare per tagliare la legna?” “Si signora”, le ho risposto, “mando lei”. E ha
messo giù il telefono.
In effetti è così, non è possibile
che uno chiami la Caritas per fare il suo dovere.
Allora noi perché esistiamo? Dobbiamo
stare attenti a questo perché il nostro compito è decisivo, noi siamo animatori
della Caritas: non facciamo tutto noi, non dobbiamo fare tutto noi, non
possiamo fare tutto noi.
Mi scaldo perché sono cose che
dicevo fin da piccolo, poi dopo le faccio anch’io, lo dico ad alta voce per
convincere anche me, però cerco di ricordarmelo perché talvolta mi dimentico, è
importante questo approccio fondamentale.
Allora perché noi esistiamo? Esistiamo
certamente per fare bene, per dare l’esempio. Le opere sono segno
dell’accoglienza.
Qual è la prima cosa che fa la Caritas,
la prima cosa per cui è nata? L’ascolto, ma non semplicemente e
burocraticamente sentirsi dire di cosa si ha bisogno, ti diranno che hanno
bisogno di soldi, anche l’altro giorno sono venuti a chiedermi soldi, ma quello
è il bisogno, ma dietro che cosa c’è? Bisogna ascoltare le persone, sapete
quanto è difficile ascoltare le persone, bisogna andare a fondo, ascoltare non
è facile, quindi è importante che noi diamo dimostrazione che è possibile farlo.
Anche per quanto riguarda il
discorso del mangiare e del dormire, all’inizio della storia della Chiesa c’era
un padre della Chiesa che non voleva che si facessero i dormitori e le mense,
perché diceva in questo modo i cristiani non accolgono più nella loro casa i
poveri, e invece noi dovremmo accoglierli nella nostra casa, accoglierli non in
parrocchia ma in famiglia, questo è lo scopo.
Questo vuol dire accoglienza, chiaro
che poi ho figli e nipoti e, per praticità, gli accogliamo in una struttura, dobbiamo
essere consapevoli però che parlare di una struttura Caritas significa uscire
dal circuito famigliare, mentre invece deve essere sempre famigliare.
Quando dove ero io volevano
mettere su una mensa. Ho detto ai volontari, e anche qui giustamente si diceva
non esistono volontari perché la Caritas non ha volontari ma animatori della
carità, ma questo è un altro discorso, gli dicevo mangiate con loro, non basta
dargli da mangiare perché tu, se lui è fratello, sei un fratello.
Io i fratelli li vedo su WhatsApp
perché tra una roba e l’altra non li vedo, ma quando torno a casa mangio con
loro e loro mangiano con me; se loro sono fratelli e sorelle, i poveri, volto
di Cristo, se viene Cristo a casa o il Papa, mangi con lui; questo è l’ideale,
in quel momento lì potremmo dire di essere abbastanza vicini al comandamento di
Gesù.
Poi si è in tanti, stare in casa
come si fa, però dobbiamo sempre dare insieme al cibo, insieme all’accoglienza,
una umanità, una relazione, devono sentirsi fratelli e sorelle anche se magari
sono fratelli e sorelle che rompono. Non è che sono così belli, buoni, gentili,
è lì che metti in gioco il tuo essere cristiano e quindi è importante che noi
ogni tanto ci rendiamo conto che è il Vangelo quello che ci guida, non tanto
perché ci diciamo che siamo bravi, abbiamo fatto tanto, ma per dire quanta
strada abbiamo ancora da fare per costruire una nuova comunità e una nuova
famiglia.
Anche il cammino sinodale che ha
avviato Papa Francesco nel mondo intero ha proprio come primo punto quello
dell’ascolto, ascoltare ufficialmente un miliardo e trecento venti milioni di
cristiani cattolici nel mondo, dovremo riunirci tutti in piccoli gruppi,
rispondere a delle domande, che poi sono semplici, e ascoltare, ascoltarsi, ma
non tanto per sentirsi così per quattro chiacchere, ma per ascoltare lo Spirito
che parla nella sua chiesa, e anche attraverso i poveri lo Spirito parla.
Guai se mancasse un gruppo
sinodale misto, dove ci siano tutti, anche i più poveri che accogliamo, perché
è importante che anche loro si sentano protagonisti nella chiesa, non solo
perché ricevono, ma perché si sentano davvero protagonisti attivi della
comunità cristiana.
Nella celebrazione del
cinquantesimo anniversario della Caritas italiana, Papa Francesco aveva
indicato “tre vie”: la via degli ultimi, noi con la nostra testimonianza all’interno
della chiesa e della società, il nostro compito di tener vivo il primato dei
poveri nella comunità cristiana, ossia la visibilità dei poveri, perché noi nel
nostro agire non li nascondiamo nelle nostre iniziative e strutture ma li
facciamo stare al centro della nostra comunità.
Non è facile, però non sono
semplicemente destinatari di qualcosa, ma sono Gesù Cristo che visita le nostre
chiese, le nostre case. Blaise Pascal mentre stava morendo e non poteva fare la
comunione, si è fatto portare un povero perché Gesù presenza reale
nell’eucarestia, è uguale alla presenza reale di Gesù nel povero.
“Ogni volta che avete fatto
qualcosa a ognuno dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me”. In quel
momento lì Gesù è nel povero, ed è importante tanto quanto la briciola del pane
eucaristico che stiamo attenti a non disperdere sopra all’altare, quando andiamo
a caccia della briciola altrimenti succede un sacrilegio.
Il povero è uguale: la stessa
presenza, quindi dobbiamo testimoniare la centralità del povero nella comunità
cristiana, altrimenti noi invece di fare il nostro compito bene addirittura
sottraiamo, nascondiamo i poveri dalla presenza della Chiesa o nella società
perché li mettiamo in un angolo perché sennò disturbano e li teniamo lì, facciamo
bene il nostro lavoro, ci pagano, magari ci danno anche l'offerta però
l'importante è che stiano lì.
Noi invece dobbiamo metterli al
centro delle nostre comunità cristiane, nel centro del loro agire anche nella
formazione della catechesi dei ragazzi, nell'esperienza, nell’incontro, nella
riflessione; ci sono studi e ricerche dei diversi tipi di povertà, per esempio
i poveri non sono solamente quelli a cui manca qualcosa, ma ci sono almeno tre
tipi di povertà: le povertà materiali, nel quale noi siamo bravi, diamo i pacchi
e diamo da mangiare, poi c'è la povertà di relazione, uno può essere ricco, non
aver bisogno di niente ma essere solo, e quindi c’è bisogno di compagnia, di amici,
di relazioni.
Oppure uno può avere tutto, può
avere anche la famiglia ma non avere scopo nella vita come i giovani, che magari
non vanno né a lavorare né a scuola, non danno senso e non riescono a trovare
un senso alla vita, anche quella è povertà, più difficile da riconoscere, alla
quale noi forse non riusciamo a rispondere; ci vogliono altre iniziative, per
questi versi anche la pastorale giovanile è Caritas quando riesce a dare senso
ai giovani e li aiuta a uscire da questa povertà che è drammatica, possono
avere mille cose, possono essere in compagnia, possono andare in discoteca ma
se la loro vita è vuota è povertà, ed è drammatica.
Per noi il primo compito è quello
di ascoltare, e ci vuole coraggio per trovare motivazioni profonde nel vangelo
e nella fede, per questo è importante la fede perché ci aiuta a mantenere
l'entusiasmo e la forza di essere a servizio del Signore e ti servirlo nel più
povero.
Poi, come dicevo in precedenza,
noi siamo animatori, non dobbiamo solo fare, ma aiutare a fare; anche
all’interno dei nostri gruppi, delle nostre Caritas diocesane, parrocchiali,
dei nostri servizi, noi dobbiamo avere uno spirito di coinvolgimento, questo è
importantissimo perché altrimenti rischiamo di dirlo agli altri e di non
viverlo noi per primi, questo è il nostro stile, il nostro metodo, non facciamo
niente da soli, noi coinvolgiamo.
Questo è il verbo di quest'anno:
“coinvolgere”. Faccio tutto io, ce la faccio: no! Altrimenti dove sta
l'animatore? Dobbiamo coinvolgere e alla sera dovete chiedervi: chi ho
coinvolto oggi? Ho fatto tante cose, ma con chi? “Ma non vengono” non è vero! Qualche
volta vogliamo essere noi i protagonisti, e lo dico perché sono stato direttore
della Caritas e mi do la zappa sui piedi.
Coinvolgere! Scusate se mi
appassiono ma è fondamentale che noi diamo l'esempio, è vero che non andiamo in
pensione ma dobbiamo comunque rinnovare le cariche, perché se uno sta 20 o 30
anni nello stesso posto non va bene, i vescovi dopo 75 anni vanno in pensione;
è un servizio, è Gesù il buon pastore, non è né il parroco né il vescovo, non
possiamo fargli noi ombra, è lui che guida le comunità cristiane, noi diamo
volto, voce, ma rinnoviamoci.
“È tanti anni che si sono lì, se
non ci sono io non c'è più nessuno”, vuol dire che hai lavorato male, perché il
primo compito è quello certamente di servire i poveri, ma per coinvolgere,
siete animatori, devi portare dentro qualcuno, “ma vanno via tutti”, vuol dire
che vuoi fare tutto tu. Può essere che sia vero che non si trovi nessuno, però
attenzione, qualche volta è un alibi, è bello vedere gli altri che fanno al
nostro posto.
È un argomento delicato, lo so,
il rischio è quello di sentirsi dire “arrangiatevi”, non è questo il tema, il
tema è che noi siamo volontari, siamo animatori e abbiamo il compito di
coinvolgere, siamo più allenatori che giocatori, ma cerchiamo di fare entrare e
uscire le persone, l’importante è servire i poveri e importante è coinvolgere
anche altri nel servizio ai poveri.
Questo riguarda tutta la comunità
cristiana, idealmente e anche concretamente, per cui le cose che fate dovete
dirle, dovete trovare il sistema che anche i ragazzi del catechismo vengano a
conoscenza e facciano qualcosa.
Tra poco ci sarà l’iniziativa dei
“Pacchi di Natale”, che non è nata da noi, è nata per caso, ma è stata
un’esperienza e un coinvolgimento straordinario, vedete cosa vuol dire una
stupidaggine, però quanto ha coinvolto, è stata una iniziativa straordinaria e
non possiamo neanche vantarcene, non è nata da noi ma però noi abbiamo
valorizzato ed esteso ad altri.
Ha coinvolto famiglie, che si
sono trovate la sera a fare questo pacco pensando di darlo a qualcuno, e alla
fine abbiamo raccolto circa 6500 pacchi, mica facile, però siamo riusciti in
questa iniziativa di coinvolgimento perché anche questo è il nostro compito,
come Caritas, quello di testimoniare.
Se vogliamo andare in paradiso
non ci andremo con quanti rosari o canti abbiamo fatto in chiesa, neanche
quante messe, ma se le messe e il rosario ci hanno aiutato a servire i poveri. “Avevo
fame e mi avete dato da mangiare, ero solo e siete venuti a visitarmi”, questo
ci chiederà, lo chiederà a tutti, però lo chiederà a tutta la chiesa; quindi,
dobbiamo come dice San Francesco guadagnare tutti il paradiso, perché è l’amore
per il povero a portarci in paradiso.
E allora credo che sia decisiva
l’opera della Caritas, non è sentimento, fare assistenza, perché altrimenti non
c’era bisogno dell’opera della Caritas, c’erano già opere della Caritas.
Paolo VI per far nascere la
Caritas ha sciolto la P.O.A., Pontificia Opera Assistenza che aveva 50.000
dipendenti e gestiva i beni dell’America e poi li ridistribuiva. Poi Paolo VI
ha detto basta, la Caritas non è esclusivamente quella del fare, ma adesso noi
come comunità cristiana raccogliamo da noi e poi noi serviamo i nostri poveri,
non alcuni ma tutta la comunità è soggetto di carità.
Altrimenti torniamo indietro,
torniamo a distribuire i pacchi come faceva la P.O.A., torniamo a dare vestiti,
ma noi oggi cerchiamo anche di coinvolgere le comunità cristiane, i singoli, la
gente, sia quella che viene in chiesa sia quella che non viene, perché mettano
al centro della comunità cristiana e della comunità civile i poveri, che non
siano messi ai margini, o visti come nemici, o visti come pericoli, o visti
come disturbi, sono il volto di Cristo, e questo tanti non lo capiscono, e per
questo noi diamo la possibilità di realizzarlo, ci vuole anche organizzazione,
però il nostro compito principale è coinvolgere."