
Si è concluso questa mattina il convegno di presentazione del Report Povertà e Risorse del 2014 a cura degli uffici pastorali della Diocesi di Forlì Bertinoro.
Quest'anno la scelta del focus di approfondimento del presente Rapporto è il Lavoro e tutte le problematiche ad esso connesse (disoccupazione, precariato, sottoccupazione, lavoro nero….) Queste ultime hanno pesanti riflessi sulle condizioni di reddito e quindi sul benessere, o viceversa sulle difficoltà delle famiglie e degli individui del nostro territorio. Non soltanto, infatti, permangono le dinamiche negative rispetto ai livelli occupazionali, ma anche perché si inasprisce ulteriormente la condizione delle persone disoccupate da più di 24 mesi, di coloro che hanno perso il lavoro avendo più di 50 anni di età e delle famiglie monoreddito dove , con frequenti intermittenze, il lavoro viene a mancare o è sottopagato. Fra questi nuclei famigliari spiccano, anche all’interno dell’utenza Caritas locale, quelli in cui sono presenti dei minori o dei giovani.
Secondo i dati raccolti, in totale. nel 2014, hanno beneficiato dei servizi erogati dai 30 Centri di Ascolto Caritas della diocesi 9.208 persone (erano 9.488 nel 2013) e 2.270 famiglie (rispetto alle 2.321 dell’anno precedente), per un totale di 4.338 utenti presi in carico dai nostri servizi (4.298 il dato del 2013. Da rilevare come, le circa 50 famiglie e i 280 beneficiari in meno fra gli ultimi due anni siano da imputare essenzialmente alla modifica nella modalità di misurazione registrata in 2 Centri di Ascolto. Questi dati evidenziano una situazione di sostanziale stabilità, o per meglio dire, cronicizzazione della povertà locale, dato confermato anche dall’aumento dei passaggi (da 71.720 a 78.373, con un +9,28%) , ovvero delle presenze nei nostri servizi, in termini ad esempio di notti dormite nelle varie accoglienze, utilizzo del servizio docce/barba/lavanderia, di presenze nei servizi di accoglienza diurna (colazioni e centro diurno) e di erogazione di beni di prima necessità (alimenti).
Fra gli utenti Caritas, la percentuale di italiani continua a salire, sia in termini di persone che di nuclei famigliari seguiti: nel 2014, si è passati da 1.381 a 1.539 utenti italiani (rappresentanti il 35,48% dell’utenza totale), mentre per quel che riguarda i nuclei famigliari (che nel complesso sono scesi di 50 unità complessive), le famiglie italiane rappresentano il 32,03% del totale. Questi dati percentuali, hanno subito un salto significativo negli ultimi 2 anni: infatti, fino al 2012 la percentuale di utenti (persone) e di nuclei famigliari italiani inseriti nel sistema Caritas era del 25% (a fronte di un’utenza straniera stabile al 75% fin dall’inizio delle rilevazioni nel 1997); dal 2013 invece il dato sulla presenza di italiani nei nostri servizi è cresciuta rispettivamente di 9 e di 6 punti percentuali. Accanto a ciò si rileva come nel 2014 sia raddoppiato il numero di nuclei famigliari misti (da 37 a 72), mentre a detta degli operatori dei servizi Caritas intervistati nei focus-groups, stanno diventando sempre più difficili i ricongiungimenti famigliari a casa della mancata disponibilità di lavoro che rende non adeguati i redditi famigliari e gli alloggi. La tendenza ad un aumento degli autoctoni fra le persone che si rivolgono ai servizi Caritas è confermata ulteriormente dal dato sui Nuovi Arrivi, ovvero quelle persone e quelle famiglie che per la prima volta nell’anno 2014 hanno bussato alle porte della Caritas: si tratta di 1.914 nuovi utenti (dei quali il 35,16% italiani) e di 702 nuove famiglie (delle quali il 37,32% sono italiane).
Ad ogni modo, rispetto ai totali generali, fra i beneficiari dei servizi Caritas nel 2014 risulta elevata la percentuale dei minori (25,61%), dei giovani (18-34 anni, 23,56% dei beneficiari totali) e delle persone in età adulta (45,22%), mentre gli anziani (oltre i 65 anni) rappresentano solo il 4,87% del totale (in calo rispetto al 2013). Inoltre l’utenza Caritas in diocesi si presenta principalmente femminile (2.183 donne seguite nel 2014, pari al 50,32% del totale), anche se nell’ultimo anno sono cresciuti particolarmente gli utenti maschi (passando da 1739 a 2064 unità), con particolare riguardo ai “ritorni”, soprattutto uomini soli italiani che utilizzano le nostre accoglienze (dormitorio e seconda accoglienza, abbinati al servizio mensa) a causa della perdita del lavoro e non potendo contare su appoggi famigliari adeguati. Rispetto alle nazionalità straniere più rappresentate, si confermano ai primi 4 posti Marocco, Romania, Burkina Faso e Albania, mentre il dato rilevante dell’ultimo anno è che sono ovunque in calo le persone (erano soprattutto donne, ex-badanti) provenienti dall’Ucraina.
In generale, gli operatori dei servizi socio-assistenziali del nostro territorio intervistati nel corso dei 4 focus-groups, considerano difficile intercettare chi ha bisogno e tuttora, per vergogna, non arriva agli sportelli dei servizi socio-assistenziali (pubblici e del privato sociale) diffusi sul territorio, con il conseguente pericolo di ritiro/isolamento che va ad aggravare la condizione di povertà e di disagio sperimentate. Allo stesso modo, fra coloro che vi arrivano e quivi rivolgono una richiesta di aiuto, particolarmente difficile risulta aiutare chi è senza lavoro avendo più di 45 anni di età, ma anche coloro che hanno entrate mensili “in nero” e quindi, essendo senza contratto, non possono accedere né al mercato privato degli affitti, nè alle assegnazioni di alloggi pubblici.
In questo senso, il lavoro sul “bilancio famigliare” dei nuclei in carico al sistema dei servizi socio-assistenziali deve servire non solo ad interrogarsi sul versante delle entrate mensili (in termini di reddito da lavoro o da pensione) , anche in relazione ai possibili trasferimenti di denaro o contributi a fondo perduto da erogare, ma anche a riflettere, insieme agli utenti, sul lato delle uscite, ovvero intravedendo strategie di riorganizzazione delle risorse famigliari.
Con favore viene rilevato dagli stessi operatori dei servizi socio-assistenziali intervistati nei focus-group il coordinamento esistente fra i CDA Caritas, la buona capacità di fare rete fra questi e i servizi del territorio, mentre si rileva come difficoltà l’iperspecializzazione e l’autoreferenzialità di alcuni servizi, legati soprattutto al mondo sanitario, con cui molto difficilmente si riesce a fare alleanza e a condividere progetti sui casi specifici. Del pari, si ravvisa la necessità sia da parte degli operatori del sociale, che degli stessi attori del mondo produttivo (intervistati sempre nei focus-group descritti nell’Introduzione), di allargare le collaborazioni alle aziende, alle associazioni di categoria e alle rappresentanze del mondo sindacale e produttivo per aumentare la capacità del territorio di lottare alla crescente povertà e diseguaglianza, nella consapevolezza che “ci sarà da stringere la cinghia per almeno i prossimi due anni”.
A cura di Elena Galeazzi
photo credit: by Corrado Ravaioli