Le sfumature, a volte, fanno la differenza. Nei due testi sopra riportati, le sfumature hanno un peso e un valore, poiché destinate a colorare diversamente (e per sempre!) il testo dell’articolo di apertura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (ONU 1948), quello che ancora oggi è considerato il documento più rilevante a livello internazionale per affermare la piena dignità di ogni essere umano e l’impegno a difenderla e a promuoverla. Ma la fraternità di cui si parla, in entrambe le versioni dell’art.1 della Dichiarazione, appare da un lato un traguardo ideale da raggiungere, un imperativo etico oltre che normativo. Dall’altro, nella versione iniziale, un punto di partenza, ovvero quell’origine comune cui tutti apparteniamo (“una sola famiglia”) che ci ricorda che la fraternità non è un obbligo o una scelta, ma un dato di fatto, connaturato alla stessa natura umana e che, dunque, non viverla e realizzarla, sarebbe disumano e disumanizzante. Le riflessioni in atto per tentare di rispondere alle sfide che la crisi attuale ci pone sembrano convergere in buona parte sulla necessità di ritornare a mettere al centro l’uomo e a riscoprire il pieno senso (direzione) e significato (fondamento) della sua umanità, e dunque a rivalutare la dimensione della fraternità. A questo si riferiva anche il delegato cinese all’Assemblea generale delle Nazioni Unite (incaricata della stesura della Dichiarazione Universale) quando propose la prima versione dell’art.1. Egli parlava del fatto che gli esseri umani sono “dotati di ragione e di consapevolezza che gli altri uomini esistono”, facendo riferimento al concetto di ren (umanità) che in lingua cinese è dato dal carattere “uomo” con aggiunto il segno numerico “due”. La coscienza del legame con gli altri è dunque, in questa visione, connaturato all’essenza stessa di essere umano e di conseguenza il dovere di fraternità appare inequivocabilmente legato alla coscienza di un’origine comune, ad una visione dell’uomo come essere relazionale, pena la perdita della sua stessa umanità.
I contributi contenuti al cap.3 del Rapporto ed il racconto delle “opere-belle” (v. par. 2.2 e non solo) che nelle
nostra Diocesi stanno rispondendo al problema della crescente povertà di
individui e famiglie, raccontano proprio di questa fraternità che fa da paracadute e da occasione di ripartenza in
questi anni di crisi e di cambiamento. Al centro di queste esperienze ci sono
infatti i legami fra le persone e le famiglie, ovvero la loro capacità di tessere ogni giorno relazioni e
risposte efficaci a rispondere ai bisogni di ciascuno, sia di tipo materiale,
che emotivo e spirituale. In questo senso, il presente Rapporto
rappresenta in se stesso un tentativo felice di costruzione di occasioni di
collaborazione capaci di produrre informazioni
e riflessioni condivise: alla sua stesura hanno partecipato 23 autori provenienti da mondi diversi:
Nonostante la rilevazione dei dati sulle povertà e sulle risorse del contesto continui a presentare difficoltà nell’omogeneizzazione dei criteri sulla raccolta e la completa ’informatizzazione dei Centri di Ascolto sia ancora un traguardo lontano, lo sforzo che i CDA e le altre organizzazioni che hanno risposto al questionario hanno fatto indica una crescente volontà a condividere informazioni e criteri d’azione. Del pari la disponibilità di così numerose persone a partecipare al racconto e all’analisi dei fenomeni in corso e all’individuazione di segnali di speranza per il futuro, indica come la stesura di questo Rapporto stia diventando un appuntamento annuale importante per il nostro territorio diocesano, non solo per coloro che operano in ambito socio-assistenziale, ma anche per altri soggetti che condividono la preoccupazione e l’impegno per la costruzione di un territorio sempre più inclusivo e accogliente.
In particolare, la collaborazione con l’Ufficio diocesano di Pastorale Sociale e del Lavoro alla costruzione della presente edizione del Rapporto indica la chiara volontà della nostra Diocesi di affrontare in maniera sempre più corale il problema della povertà, non solo in termini di capacità di lenire le ferite e raccogliere gli scarti, bensì di indicare nuovi orizzonti da perseguire e di formulare proposte che modifichino il sistema, nei termini di una sua più piena umanizzazione.
Il lavoro fatto in questi mesi, per il quale va un ringraziamento profondo a tutti per la professionalità e la disponibilità dimostrata, non costituisce solo un buon traguardo raggiunto insieme, ma un punto di partenza ulteriore che ci vedrà, nei prossimi mesi, ritrovarci di nuovo per continuare ad elaborare strategie e progetti, a valutare i risultati raggiunti e a condividere il lavoro nell’operatività quotidiana. Consapevoli di camminare in buona compagnia sui sentieri della speranza e della condivisione!